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mardi, 13 janvier 2009

Für Israel ist die EU nur als Zahlmeister willkommen

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Abfuhr für Europa

Für Israel ist die EU nur als Zahlmeister willkommen 

Von Andreas Mölzer

Nun hat die Europäische Union versucht, im blutigen Gazakonflikt zu vermitteln. Allerdings erfolglos, denn Israel zeigte nicht die geringste Bereitschaft, auf den Vorschlag Brüssels – UNO-Beobachter in das Kriegsgebiet zu entsenden – einzugehen. Offenbar versucht Jerusalem zu verhindern, daß die Welt die volle Tragweite dessen erfährt, was in dem schmalen Landstreifen an der Mittelmeerküste alles vor sich geht. Und daß die Vermittlungsbemühungen der EU gescheitert sind, mag auch daran liegen, daß die Europäer in der Vergangenheit eine ausgewogenere Haltung als die USA gezeigt und sich nicht ausschließlich an den Interessen der sogenannten „einzigen Demokratie“ im Nahen Osten orientiert haben.

Willkommen ist die Europäische Union für Israel freilich immer dann, wenn es darum geht, die von ihm bei verschiedenen Kriegen und Militäroperationen verursachten Schäden zu beseitigen. Im Jahr 2006 etwa, nachdem die israelische Armee bei ihrem Angriffskrieg weite Teile des Libanons in Schutt und Asche gelegt hatte, stellten die EU und ihre Mitgliedstaaten 77 Millionen Euro an humanitärer Hilfe zur Verfügung. Und man darf davon ausgehen, daß Jerusalem auf den „Zahlmeister“ Europa zurückgreifen wird, wenn es darum gehen wird, die im Gazastreifen verursachten Zerstörungen zu beseitigen.

Was den Krieg gegen die Palästinenser im Gazastreifen betrifft, so ist die sogenannte Brüsseler Wertegemeinschaft gut beraten, den Notwehrexzeß Israels klar und unmißverständlich zu verurteilen. Schließlich sind seit Ausbruch der Kampfhandlungen Hunderte Palästinenser ums Leben gekommen, darunter unzählige Frauen und Kinder, und die Lage der Zivilbevölkerung ist mehr als katastrophal. Anderseits müßte auch der Hamas klargemacht werden, daß der Beschuß südisraelischer Orte mit Raketen einzustellen ist und daß sie sich vom Terror zu distanzieren und das Lebensrecht Israels anzuerkennen hat. Sollte sich die Hamas vom Terror distanzieren, dann müßte Brüssel diese Organisation ohne Wenn und Aber als Gesprächs- und Verhandlungspartner anerkennen. Denn immerhin ist die Hamas im Jänner 2006 eindeutig als stärkste Partei aus den demokratischen Wahlen in den palästinensischen Autonomiegebieten hervorgegangen. Auch wenn deren politisches Programm den politisch korrekten Moral- und Bedenkenträgern in Europa nicht gefallen mag, so entspricht ihre Stärke dem Wählerwillen der Palästinenser.

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dimanche, 11 janvier 2009

Falend leiderschap

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Falend leiderschap

 

Geplaatst door yvespernet op 4 januari 2009

Het Israëlisch offensief in de Gazastrook gaat in alle hevigheid verder. Zonder veel om te kijken naar de burgerbevolking, zoals men kan zien in de beelden die uit de Gazastrook komen van gewonde en dode kinderen, rukt het Israëlische leger (IDF) op. Niet alleen Israël kijkt echter amper om naar de burgers, ook het leiderschap van HAMAS faalt compleet. Zij roepen wel op tot verzet, maar kijken amper tot niet om naar hun eigen burgerbevolking. Die bevolking heeft immers van het HAMASleiderschap geen instructies gekregen voor schuilplaatsen, medische hulp, etc… HAMAS mag dan wel een strijdersbeweging zijn, die zelf redelijk goed georganiseerd de strijd aanbindt met het IDF, ze falen blijkbaar compleet in het politiek leiderschap.

Burgerdoden worden door het IDF afgedaan als terroristen. De “doden bij een extremistische HAMAS-ceremonie” bleken agenten te zijn die een ceremonie bijwoonden waarbij nieuwe agenten de eed aflegden. En zo zullen er nog wel dozijnen meer volgen. Ook is de stelling dat deze oorlog is begonnen vanwege HAMAS-raketten regelrecht onzin. Deze oorlog is reeds gepland sinds de mislukte inval in Libanon in 2006 en de echte concrete tacktische plannen liggen reeds zes maanden op tafel. Verder hebben beelden al aangetoond dat Israël duidelijk clusterbommen inzet in dichtbevolkte gebieden. Ook het gebruik van artillerie in dichtbevolkte gebieden is allesbehalve “burgervriendelijk”.

Voor Israël heeft deze oorlog meerdere doelen in mijn ogen; het scheppen van een bufferzone zodat de raketten niet langer in Israël landen, het vernietigen van de politieke HAMASelite (en ze liefst vervangen door een Israëlgezinde), het herwinnen van het vertrouwen in het leger en het winnen van de verkiezingen. Of hoe plat electoraal gewin uiteindelijk mee aan de basis ligt van de vele doden die momenteel vallen.

Palestina bloedt omdat extremisten van beide kanten enkel aan korte termijn-doelen denken…

 

L'enigmatico silenzio di Obama

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L’ENIGMATICO SILENZIO DI OBAMA

http://www.eurasia-rivista.org/

di Daniel Luban

Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, lavora duro ad un piano di ripresa economica per il suo paese, ma ancora mantiene il silenzio assoluto sull’offensiva militare israeliana a Gaza. Il mutismo di Obama combinato con l'appoggio passivo a Israele da parte dell’attuale presidente, George W. Bush, ha fatto sì che gli Stati Uniti restassero ai margini della crisi di Gaza, e sono i leader europei quelli che assumono gli sforzi diplomatici per trovare una via d’uscita dalla grave situazione. Ma, nonostante la reticenza di Obama nel parlare di Gaza non è qualcosa che sorprende la maggioranza degli esperti, semina dubbi sulla posizione che prenderà la sua futura amministrazione sul conflitto israelo-palestinese. Da quando Israele ha iniziato a bombardare Gaza, il 27 dicembre, allo scopo di paralizzare Hamás (acronimo arabo di movimento di resistenza islamica), Obama non ha preso posizione. Il suo portavoce ribadisce che "c'è soltanto un presidente alla volta" e che non prenderà alcuna iniziativa prima di assurgere al ruolo di Capo di Stato, il 20 di questo mese.
Tuttavia, Obama si è mostrato disposto a trattare alcuni affari politici. Lunedì ha visitato i leader del congresso legislativo per dare impulso al suo piano destinato alla ripresa economica. Ha anche espresso la sua opinione sulla politica estera: ha divulgato un comunicato sugli attentati nella occidentale città indiana di Mumbai, in dicembre. Mentre i leader europei come il presidente francese Nicolas Sarkozy ed il cancelliere ceco Karl Schwarzenberg sono andati in Medio Oriente per iniziare gli sforzi diplomatici, il governo di Bush ha accusato Hamás per il conflitto, ma ha evitato di assumere un ruolo attivo.

Il segretario di Stato (cancelliere), Condoleezza Rice, ha annullato un viaggio, previsto lunedì, in Cina per trattare la crisi, ma ancora non è nei suoi piani di trasferirsi nella regione. Dinanzi alla mancanza di una posizione chiara del presidente americano eletto, gli analisti iniziano a speculare.

Alcuni hanno ricordato una dichiarazione di Obama nella località Israeliana di Sderot: "Se qualcuno lanciasse razzi sulla mia casa, dove le mie due figlie dormono di notte, farei tutto ciò che posso per fermarlo".

Questo è stato interpretato come un segnale di appoggio alle rappresaglie israeliane contro Hamás. In una conferenza sul Medio-Oriente tenuta lunedì nello Brookings Institution, gli osservatori hanno prestato particolare attenzione alle dichiarazioni fatte da Martin Indyk, ex ambasciatore americano in Israele e collaboratore del dipartimento di Stato per gli affari del Vicino-Oriente durante il governo di Bill Clinton (1993-2001). È considerato un candidato probabile per un alto incarico legato al Medio-Oriente nel gabinetto del designato e prossimo Segretario di Stato Hillary Clinton. Indyk ha evitato di attribuire colpe per la crisi o di dare prescrizioni per risolverla. Si è richiamato ad un "sollecito cessate il fuoco" ; è stato prudente, evitando di offendere una delle parti. Ha anche sostenuto che il ministro della difesa israeliano Ehud Barak concluderà certamente la campagna militare prima dell'assunzione dell’incarico da parte di Obama cosa che faciliterà la politica estera del nuovo presidente americano.

"Questa settimana ci saranno intense operazioni (militari), e la prossima settimana ci sarà una intensa diplomazia” ha affermato. "Credo che Obama si trovi in una situazione in cui potrà approfittare di questa diplomazia e far sì che le due parti decidono per un cessate il fuoco". Nella conferenza, il politologo Shibley Telhami, dell’Università del Maryland, ha elogiato la decisione di Obama non di parlare della situazione a Gaza prima dell’assunzione dell’incarico. "Non avrà una seconda possibilità di dare una prima impressione. Se dici qualcosa su questa crisi in prima battuta, le mani ti restano legate. E ed è un grande errore se egli interviene in questa crisi". Nel frattempo molti analisti sembrano decidere con Telhami che il silenzio è la cosa migliore, la risposta di Obama rivela l'ambiguità della sua amministrazione sui temi legati alla crisi Israelo-palestinese. Forse deliberatamente, è stato circondato da consulenti la cui cronistoria sull'argomento è difficile da leggere. Hillary Clinton si è guadagnata la reputazione, alla fine degli anni ‘90, di essere aperta alle preoccupazioni palestinesi. Si è richiamata nel 1998 alla "soluzione di dei due Stati"(uno israeliano e l’altro palestinese, coesistenti in modo pacifico), molto prima di convertirsi alla visione di maggior consenso.

Nel 1999 suscitò una polemica quando apparve con Suha Arafat, coniuge dello scomparso leader palestinese Yasser Arafat, durante una riunione nella quale quest'ultimo criticò Israele. Hillary Clinton si è anche guadagnata l’appoggio del mondo arabo con gli sforzi del suo coniuge per promuovere la pace tra palestinesi e Israeliani durante gli ultimi anni della sua amministrazione. Ma da quando si è insediata in senato nel 2001, ha adottato una posizione più filo-Israeliana. Gli Analisti si chiedono se ciò ha prodotto un cambiamento nel suo modo di pensare in quanto senatrice del nordorientale Stato di New York, in cui esiste una Comunità ebraica enorme, nella sua maggioranza schiacciante partigiana delle politiche di Israele. Benché si considerasse Obama inizialmente simpatizzante delle preoccupazioni palestinesi ed era visto con sfiducia dai gruppi ebraici bellicisti, le sue nomine in politica estera sembrano mettere un'ombra su questo. Molti sospettano che condividerà gli stessi principi pro-Israeliani dell’amministrazione di Bush.

Traduzione a cura di G.P.

Fonte:
IPS/Diario DigitalRD.Com

samedi, 10 janvier 2009

Affiche: Ja / Nee!

http://klauwaert.blogspot.com

 

vendredi, 09 janvier 2009

Moscou s'inquiète de la situation à la frontière israélo-libanaise

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Moscou s’inquiète de la situation à la frontière israélo-libanaise

http://fr.altermedia.info

La Russie a exprimé sa préoccupation par l’aggravation des tensions à la frontière israélo-libanaise où des échanges de tirs ont retenti jeudi matin, sur fond d’hostilités dans la bande de Gaza.

“Nous préconisons le strict respect de la résolution 1701 du Conseil de sécurité de l’ONU qui, on le sait, appelle Israël et le Liban à maintenir le cessez-le-feu, à oeuvrer pour un règlement durable sur la base du respect global de la Ligne bleue et à prendre des mesures de sécurité pour empêcher la reprise des hostilités”, a déclaré le ministère russe des Affaires étrangères dans un communiqué publié sur son site Internet.

La diplomatie russe a appelé Israéliens et Libanais à “faire preuve de retenue et de responsabilité”.

“Il faut éviter toute provocation susceptible de détériorer la situation dans la région où tout est interdépendant, où les tensions se sont aggravées à l’extrême en raison de la confrontation israélo-palestinienne dans la bande de Gaza”, précise le communiqué.

Quatre roquettes de type Katioucha sont tombées jeudi matin à proximité de la ville israélienne de Nahariya, faisant deux blessés. Ce tir a été revendiqué par le groupe Front populaire de la libération de la Palestine-Commandement. L’armée israélienne a aussitôt répliqué par plusieurs salves d’artillerie en direction du Liban, et des avions survolent actuellement le Liban-Sud.

Vicino Oriente in fiamme: la Turchia piu' vicina a Gaza, piu' lontana da Tel Aviv

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VICINO ORIENTE IN FIAMME : LA TURCHIA PIU’ VICINA A GAZA, PIU’ LONTANA DA TEL AVIV

http://www.eurasia-rivista.org/

di Aldo Braccio*

Il Primo ministro turco Erdoğan ha denunciato l’attacco israeliano a Gaza come un crimine contro l’umanità, ritenendo del tutto sproporzionato l’uso della forza di fronte ai lanci di razzi palestinesi. Gli attacchi israeliani, ha ribadito Erdoğan, rappresentano un attacco alla pace. Il ministro degli esteri Babacan ha da parte sua comunicato che gli incontri triangolari Turchia – Israele – Siria per la soluzione del contenzioso tra Tel Aviv e Damasco sono interrotti : “La scelta israeliana di condurre un’azione di guerra contro i palestinesi ci ha profondamente deluso”, ha commentato Babacan.
Nel frattempo quattro esponenti dell’AKP, il partito di governo, hanno abbandonato – in segno di protesta – il gruppo parlamentare “di amicizia turco – israeliana”, mentre lo stesso Consiglio di sicurezza nazionale ha condannato l’azione di Tel Aviv, chiedendo che i bombardamenti cessino immediatamente e che gli aiuti umanitari per la popolazione di Gaza (provenienti anche dalla Turchia) possano subito giungere a disposizione.
Erdoğan ha raggiunto per colloqui urgenti Damasco e Amman; secondo notizie non confermate nella capitale siriana avrebbe anche incontrato Khaled Méchaal, capo dell’ufficio politico di Hamas in esilio.
Ad Ankara, Istanbul e in parecchie altre città si susseguono iniziative e manifestazioni contro la guerra promossa da Israele : in particolare a Istanbul la municipalità ha deciso di annullare la tradizionale festa di capodanno in piazza Taksim, in segno di lutto.

*Aldo Braccio, redattore di Eurasia, è esperto di questioni turche e del Vicino Oriente.

00:48 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : turquie, gaza, moyen orient, proche orient, israël, géopolitique | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

jeudi, 08 janvier 2009

Crise au Proche Orient: le début d'une troisième guerre mondiale?

Crise au Proche-Orient: le début d’une troisième guerre mondiale?

http://fr.altermedia.info

conflit

Par Dmitri Kossyrev,

C’est le procès du “lanceur de chaussures” Mountazer Al-Zaidi qui aurait pu devenir le principal événement du 31 décembre, le dernier jour de l’année 2008. Le 14 décembre, ce journaliste a lancé ses deux chaussures à la figure du président américain (qui était en train de donner une conférence de presse à Bagdad), en criant “C’est le baiser d’adieu du peuple irakien, espèce de chien!”.

 

Mais ce ne fut pas le cas. Un autre événement, qui, lui, n’a rien de comique, est venu éclipser l’incident des chaussures. A savoir une guerre, déclenchée dans une région voisine, et qui a déjà fait un grand nombre de victimes parmi la population civile.

Au premier abord, il s’agit d’un territoire très restreint au Proche-Orient. Certes, il y a des morts, mais cela arrive, malheureusement, beaucoup plus souvent qu’on ne le souhaite, n’est-ce pas? Mais peut-il arriver - théoriquement - qu’une troisième guerre mondiale éclate juste après les fêtes? Une opération punitive sera sans doute lancée prochainement dans la bande de Gaza, opération qui aura pour objectif de démanteler définitivement le “foyer terroriste” du Hamas. Or, son résultat sera douteux. Plusieurs attentats seront perpétrés par la suite sur le territoire israélien, auxquels il faudra aussi répondre.

Dans ce cas, la prochaine étape de l’évolution du conflit touchera le Liban et la Syrie, ces deux territoires arabes que Moscou essaie depuis de longues années d’inclure dans le processus de règlement du conflit au Proche-Orient. Israël pourrait attaquer ces pays également. Intérieurement, le monde arabe concède que le Hamas est composé de radicaux dangereux qui ont provoqué eux-mêmes ce conflit. Mais si Israël refuse de s’arrêter, le tableau changera.

Par exemple, le “facteur iranien” pourrait surgir comme par hasard, et notamment le fait que Téhéran, à ce qu’on prétend, finance aussi bien les membres du Hamas que leurs confrères libanais du Hezbollah, tout en aidant en outre la Syrie. Et si l’Iran ose faire un geste un tant soit peu menaçant…

Que pourra alors faire Israël? Bombarder quelques sites en Iran? Et si l’Iran décide alors de répondre à la provocation? L’Iran ne possède pas encore d’arme nucléaire, mais Israël en dispose et peut y recourir, si les choses tournent mal.

Il s’agit du pire scénario possible. Dans l’espoir de l’éviter, tout le monde, toutes sympathies confondues, appelle aujourd’hui les autorités israéliennes à arrêter la guerre et à revenir au point initial. Ainsi qu’à participer par la suite, l’année prochaine, à une Conférence sur le Proche-Orient à Moscou, pour évoquer finalement pour de bon la question de la paix. Mais déjà les positions seront beaucoup moins avantageuses pour Israël comme pour tous les autres.

Par exemple, Israël n’est pas du tout enclin à écouter ceux qui l’appellent à cesser les hostilités. Qui plus est, il se comporte de la même façon que le régime de Saakachvili en Géorgie, en essayant d’engager dans la guerre son principal protecteur, les Etats-Unis; ou bien de régler ses propres problèmes pendant la période de changement d’administration aux Etats-Unis. Mais les situations de ce genre sont toujours anormales: elles signifient que l’ancienne politique (en l’occurrence, celle des Etats-Unis) a été absolument erronée. Dans le même ordre d’idées, l’isolement du Hamas, qui jouit manifestement d’un large soutien de la population de la bande de Gaza, a été aussi une erreur. Tout ceci signifie également que les grandes puissances (ou la communauté internationale) seront désormais obligées d’exercer une pression sur Israël pour l’inciter à ne plus bombarder les quartiers résidentiels de la bande de Gaza, sur le Hamas pour qu’il mette fin aux attentats, sur l’Iran pour qu’il cesse de terroriser le monde avec son programme nucléaire, etc. Mais qui est aujourd’hui à même de mener un dialogue avec Israël, l’Iran et le Hamas en adoptant une position ferme?

Source: Novosti